MIND THE GAP di Luisa Multinu

MIND THE GAP – Distanze Londinesi” di Luisa Multinu, Aporema Edizioni

“I suoi occhi inquadrano la linea gialla e quella scritta: Mind the Gap. Magari è proprio quello, il senso di tutto. Fare sempre attenzione al vuoto presente tra l’aspettativa e la realtà. Evitare di lanciarsi con troppa fretta o speranza oltre il limite. Mind the gap, si ripete, between your life and your dreams.”

Mind The Gap” è la storia di una ragazza, Ida, e del suo sogno: riuscire a vivere a Londra. Ida è una delle tante giovani italiane laureate che fuggono dalla terra d’origine, che non ha dato loro opportunità, per trovare delle possibilità migliori. Sola, con pochi soldi e grosse valigie piene di speranze e aspettative, arriva a Londra e inizia subito a rimboccarsi le maniche. Sogna di insegnare italiano in una scuola inglese, ma presto si rende conto di dover cominciare dal basso, come tutti gli immigrati appena arrivati. Ma non si scoraggia, può studiare, specializzarsi, non appena avrà trovato un lavoro sicuro.
Subito, però, si scontra con la realtà delle agenzie per gli immigrati, che si rivelano essere delle truffe, e ben presto anche con la realtà del lavoro che anche lì non regala prospettive rosee. Come molti nella sua stessa situazione, si ritrova a veder calpestate e maciullate tutte le sue speranze, insieme alla dignità e al rispetto umano. Passa da un lavoro più umiliante e massacrante all’altro, venendo perennemente sfruttata, trattata coi piedi e persino illusa: dal Café des amis con i due manager insopportabili, al contratto determinato da Zara con l’illusione di un lavoro in regola ma dove sei ugualmente un numero rimpiazzabile, ai turni di dodici ore logoranti nei chioschi di panini e gelati in giro per i parchi della città. Ida resiste, resiste a tutto finché può, fino ad ammalarsi, fino a diventare l’ombra di se stessa, ma sarebbe disposta a tutto pur di restare nella sua amata Londra.

Solo che Londra non sembra ricambiare il suo amore viscerale, o magari non la ama come lei vorrebbe. Un po’ come Giacomo, il ragazzo di cui si è invaghita, anche lui italiano, del suo stesso paese veneto, che passa le sue serate a fare baldoria con gli amici e riempie i social di foto con ragazze sempre diverse. Ma Ida ci crede, si aggrappa con tutte le sue forze alla speranza di un affetto corrisposto, ne ha bisogno.

“E’ sola. E, ancora, sa di essere invisibile agli occhi dei londinesi. Per Londra, lei è solo l’ennesima comparsa, un’inutile nota di disperazione, aggiunta all’eccitante frastuono della città. Un’ombra fra le ombre, che passano e si consumano di fronte ai bagliori più intensi del successo e della bella vita.”

Unico appiglio di conforto nelle sue giornate è la coinquilina ed amica spagnola Marta, anche lei immigrata, con cui condivide gioie e delusioni, una ragazza che cerca di avere sempre un atteggiamento positivo, nonostante le difficoltà. Ida la ammira, la stima, vorrebbe essere come lei, ma non riesce a mantenere la sua stessa positività; al contrario, più la vita si accanisce contro di lei, più scivola in una lenta, depressa rassegnazione.

Ida si accorge che la solitudine è da sempre la sua unica compagna: è sempre stata sola, sin da quando era bambina. E’ cresciuta con due genitori assenti e distratti che a un certo punto hanno deciso di separarsi: il padre ha lasciato che i suoi dolori annegassero nell’alcol fino a dissolversi in esso, la madre non c’era mai e dopo il divorzio si è rifatta una vita con un altro uomo allontanando la figlia. Ben presto, Ida ha capito di dover badare a se stessa, di crescere più velocemente degli altri bambini, che avevano vite e famiglie ben diverse dalla sua. L’unica che le è sempre stata vicina è la nonna, alla quale telefona anche adesso ogni fine settimana e le chiede imperterrita di tornare a casa. Ma Ida non rinuncia, neanche nel momento peggiore: vuole solo trovare il suo posto nel mondo e sa di meritarlo dopo tutto quello che ha passato.

Leggere questo libro è come trovarsi a Londra ad osservare i suoi paesaggi. La voce narrante è esterna, ma ci sentiamo comunque nella mente della protagonista, che scandisce le sue passeggiate con versi di poesie o brani di canzoni. La musica è ovunque a Londra, così come la storia: fantasmi del passato le turbinano spesso intorno, Keats, John Clare, Virginia Woolf, le sorelle Brontë, Sylvia Plath. Quest’ultima è praticamente una costante del romanzo. Sylvia Plath è presente nell’esergo del libro, con una delle citazioni più note da The Bell Jar: “I took a deep breath and I listened to the old brag of my heart. I am, I am, I am.” La stessa frase che Ida si tatua sul polso, una frase “che le era apparsa così piena di significato e necessaria”.

“Dopo aver tanto scavato tra libretti logori e vecchie edizioni economiche, aveva trovato una bella edizione di La campana di vetro di Sylvia Plath, per solo tre pound, nel negozio di libri usati al Market. Si era fermata a rileggerlo, quel libro, mentre pranzava con un falafel stracarico di humus, seduta sulle panche del mercato. Folgorata da una frase della poetessa che in quel momento le era apparsa così piena di significato e necessaria, era scesa quasi di corsa nell’umido scantinato a tatuarsi quelle parole sul polso: I am, I am, I am.”

Posto preferito di Ida è la collina di Primrose Hill, quartiere prediletto anche da Sylvia Plath, che scriveva poco dopo essersi trasferita nell’appartamento di Fitzroy Road: “Quando arrivai alla mia amata Primrose Hill, con le sue foglie dorate, ero così piena di gioia” (When I came to my beloved Primrose Hill, with the golden leaves, I was full of such joy). E’ lì che Ida si rifugia, trova conforto e si sente finalmente amata da quella città che sembra respingerla altrove.
Londra è il sogno di Ida ed era con tutta probabilità il luogo del cuore di Sylvia: in una lettera alla madre dopo la separazione da Hughes, scrisse che Londra era “l’unica città al mondo in cui mi piacerebbe vivere, con i suoi bravi medici, i vicini gentili, parchi, teatri e la BBC” (the one city in the world I’d like to live in, with its fine doctors, nice neighbours, parks, theatres and the BBC). Dopotutto, è in quella città che ha vissuto alcuni dei suoi momenti più felici. Un po’ come per Ida, era anche il luogo della speranza di una vita migliore, come quando era riuscita ad affittare la casa dei suoi sogni a Fitzroy Road, la casa di Yeats, un segno del destino.

Come la protagonista de La Campana di Vetro, anche Ida si lascia spesso andare a ricordi del passato, del padre che non c’è più, dei momenti felici e infelici della sua infanzia. Anche la prima neve a Londra di Ida mi ha fatto pensare alla prima neve a Londra di Sylvia: in Snow Blitz, uno degli ultimi racconti che scrisse, racconta proprio di quel suo ultimo freddo inverno, in cui, il giorno dopo Natale, vide per la prima volta la neve a Londra e di come questo la fece ripensare ai giochi e alle ripide discese con lo slittino che faceva negli Stati Uniti da bambina (“In London, the day after Christmas (Boxing Day) – it began to snow: my first snow in England. For five years I had been tactfully asking ‘Do you ever have snow at all?’ as I steeled myself to the six months of wet, tepid grey that make up an English winter. ‘Ooo I do remember snow,’ was the usual reply, ‘when I were a lad.’ Whereupon I would enthusiastically recall the  huge falls of crisp and spectacular white I snowballed, tunnelled in and sledded on in the States when I was young. Now I felt the same sweet chill of anticipation at my London window, watching the pieces of darkness incandesce and they drove through the glow of the streetlight“).
Anche Ida ripensa alla sua infanzia e al suo paese:

“La neve a Londra, non l’aveva mai vista. Il pensiero corre ancora al paese e alla sua infanzia sulle piste da sci, al freddo del ghiaccio che entra nei guanti e pizzica le dita. Arrivati in cima non aveva neanche il tempo di infilarsi le maniglie delle racchette che suo padre partiva gridando: “Dai, Ida, chi arriva prima vince!”. Lei si buttava giù in picchiata, senza vedere niente, solo per stare dietro a quel pazzo di suo padre, che continuava a gridarle: “Dai, dai!”, finché non sentiva più la sua voce, vedeva un puntino rosso scendere a zigzag e non era nemmeno sicura di essere ancora sulla pista, perché la nebbia copriva la neve, era tutto un muro di bianco che a lei sembrava un po’ giallo da dentro la maschera.”

Ci sarebbero ancora tantissime cose da dire su questo romanzo, ma non voglio rovinarvi l’esperienza di una bella lettura. Io l’ho amato veramente tanto e ringrazio di cuore la sua autrice Luisa Multinu.
E’ un tuffo nella vita questo libro, dove la vita è proprio come le acque del mare: talvolta ci sembra di annegare, di annaspare per rimanere in superficie, alla ricerca disperata di un appiglio che ci sostenga, altre volte, quando non ci facciamo caso, scopriamo di riuscire a galleggiare anche da soli.

~ Donatella

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Tutti i contenuti, le traduzioni e le foto presenti su questo post sono sotto stretto copyright di Donatella Marcatajo © Sylvia Plath Italy, è vietato prenderle senza permesso dell’autrice o alterarle.
Bibliografia: Mind The Gap, Luisa Multinu, Aporema Edizioni; Jhonny Panic and the Bible of Dreams, Sylvia Plath, Faber & Faber; Letters of Sylvia Plath, Harper Books.

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